giovedì 9 luglio 2009

La fanciullezza di Raimondo Burgio - Jacqueline C. Miù

La fanciullezza di Raimondo Burgio

Una volta Boris Pasternak scrisse: Perdere la fanciullezza è perdere tutto. Non è la mano michelangiolesca a colpire l’occhio ma la luce che prende coi colori l’intero campo visivo dello spettatore. Non c’è il tempo per pensare, l’opera è nell’attimo, folgora oppure inietta la sua consapevolezza ma non ruba tempo ne tanto meno vuol sembrare il quid sulla bilancia della filosofia. Io amo molto Popper ed il pragmatismo, le opere “chiare” di Wright, l’emancipazione scientifica di Einstein, quindi mi viene facile osservare la linea nella forma di Raimondo, in fondo è una linea che prende forma lasciando lo spazio aperto entrare vertiginosamente in noi. Il suo è un talento, credo, generoso e non burocrate, non è fatto per piacere ma è destinato ad una evoluzione più alta, forse più mistica, perché in fondo chi compone queste opere è un poeta e la sua mano riesce benissimo a scrivere versi in spazi dove noi di solito siamo abituati a cercarci un sogno. Cercate nelle sue opere le chimere della società, oppure una formula per vivere il quotidiano senza soffrire la claustrofobia del cemento, cercate di carpire le sue nozioni di sogno e forse allora potrete entrare in un mondo dove la verità veste la vita meglio di ogni altra cosa.

Un caro saluto e con infinita stima

1 commento:

Anonimo ha detto...

un semplice approccio alla lettura dello stile di Raimondo,che soddisfa le sue attuali pretese.

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